Milano. L’incriminazione di Donald Trump è una prima volta di grande portata nella storia americana, una linea attraversata che porta il paese in un territorio inesplorato dal punto di vista legale e da quello politico. Un altro tabù è stato sfatato da un ex presidente che ha fatto dello sconvolgimento e della destabilizzazione le sue cifre, in nome di una palude (liberale e democratica) da bonificare e di un’America grande da ripristinare. Gli effetti di questa incriminazione saranno più chiari nelle prossime settimane, i repubblicani l’hanno già definita “un-American”, non americana, che era il termine che aveva utilizzato Joe Biden alle elezioni di metà mandato del novembre scorso per indicare la volontà dei trumpiani di non riconoscere l’esito del voto se non in caso di vittoria. La presidenza Trump ha imposto una continua torsione al sistema istituzionale americano e al suo rapporto con il resto del mondo, mettendo in circolo una serie di fissazioni che sono ancora presenti e che si autoalimentano, come dimostra l’epica dell’arresto ingiusto introdotta da ultimo che si somma al mito fondativo del trumpismo, che è la “big lie”, il cosiddetto imbroglio dei democratici che hanno assegnato la vittoria delle presidenziali del 2020 a Joe Biden, che quindi è un impostore.
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