Il libro di Alberto Prunetti è un crudo memoriale che fa a pezzi tanta letteratura snob e impegnata. Una sorta di “Vita è bella” al contrario, con Piombino e un bambino della classe operaia il cui padre è l’eroe che lavora a un’astronave malefica
Terribile e bellissimo. Furono questi gli aggettivi di Valerio Evangelisti nel recensire Amianto di Alberto Prunetti alla sua prima uscita anni fa – adesso il romanzo torna in libreria per Feltrinelli. L’epica familiare di una classe sociale, la vita e la morte di un padre operaio ucciso dall’amianto, le battaglie estenuati che seguono a essa per la verità e la memoria autentica. Ogni volta che lo rileggo il mio pensiero è – complice un’intuizione del regista Mounir Derbal – che se ne potrebbe ricavare un grande film, ben lontano dalle cartoline localiste à la Ovosodo, una sorta semmai di “Vita è bella” al contrario, da girare come un film quasi di fantascienza, con Piombino e le sue industrie viste con le lenti di Mad Max o Blade Runner, e un bambino della classe operaia il cui padre è l’eroe che lavora a un’astronave malefica, che alla fine se lo porterà via.Piombino può essere una sorta di miraggio, scorta sempre a destra della propria spiaggia delle vacanze, il golfo dolce di Follonica, i contorni ora netti ora sfocati dell’Elba lì davanti – che in latino si chiamava Ilva – come una immane scogliera, le due torri delle ciminiere mentre splende sempre…
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