Marko Halnevych, uno dei componenti del gruppo, racconta al Foglio “l’esperimento folkloristico” per “dare una nuova vita alle canzoni ucraine antiche e far sì che non si perdano, perché sono una parte della nostra cultura che sta svanendo” e come la guerra ha cambiato la loro musica
Un quartetto musicale ucraino da mesi e per i prossimi mesi si aggira per l’Europa: con i loro costumi tradizionali, strumenti antichi, i DakhaBrakha si esibiranno il prossimo 16 settembre al Teatro Argentina in occasione del Romaeuropa Festival, “per la prima volta in vent’anni di attività saremo a Roma”, dice dalla sua stanza in Ucraina Marko Halnevych, uno dei quattro componenti del gruppo, intervistato online dal Foglio. DakhaBrakha significa “dare prendere” in ucraino antico, perché le loro performance sono “un esperimento folkloristico”, cercando di dare una nuova vita alle canzoni che fanno parte della tradizione ucraina, combinandole con suoni, strumenti e ritmi contemporanei. “Si tratta di uno scambio di energia tra noi e i nostri antenati, una condivisione delle nostre radici con il pubblico che ci ascolta”, dice Halnevych.
Abbonati per continuare a leggere
Sei già abbonato? Accedi Resta informato ovunque ti trovi grazie alla nostra offerta digitale
Le inchieste, gli editoriali, le newsletter. I grandi temi di…
Discussion about this post